i colori nel design

L’influenza cromatica sui comportamenti umani è materia di studio da centinaia di anni

 

La nostra continua ricerca sulle migliori soluzioni di benessere negli spazi di lavoro non può certo ignorare un aspetto tanto importante come quello della scelta dei colori, in particolare del modo in cui questi sono in grado di incidere sul confort di un ambiente e sull’umore delle persone.

Senza scomodare la cromoterapia o altre pratiche di medicina alternativa, sappiamo che è nota da molto tempo l’influenza dei colori nella determinazione degli stati d’animo e dei comportamenti umani.

Il primo approccio scientifico allo studio del colore è stato quello dell’inglese Isaac Newton (1642-1727). Fu un suo articolo, poi divenuto celebre, a divulgare i risultati degli esperimenti condotti con la rifrazione della luce attraverso prismi di vetro, con cui riuscì a definire i sette colori primari: rosso, arancione, giallo, verde, blu, viola e indaco. Teorizzò che i corpi luminosi emettevano dei corpuscoli immateriali, una sorta di “atomi di luce” che, viaggiando in linea retta e a velocità iperbolica, producevano i raggi. La luce “bianca”, per Newton, era una miscela di altrettante specie di corpuscoli quanti erano i diversi colori.

La cosiddetta teoria corpuscolare ha dominato la fisica per quasi un secolo.

Fu Johann Wolfgang von Goethe, che oltre ad essere un grande letterato era anche pittore e scienziato, a mettere in risalto nel suo saggio ”Zur Farbenlehre” del 1810 la complessità del fenomeno cromatico e l’ingerenza non trascurabile che ha l’organo della vista nei confronti della percezione luminosa e della sua traslitterazione nel colore. Propose per primo una visione estetica e artistica, mettendosi in contrasto con quella strettamente scientifica di Newton: “Si è dimostrato per esteso che ogni colore produce sull’essere umano una particolare impressione manifestando a quella stregua la sua natura all’occhio e all’animo. Ne consegue direttamente che il colore può venire usato per determinati scopi sensibili, morali ed estetici”. Per Goethe i colori sono, infatti, qualche cosa di vivo e di umano, e che trovano la loro completa giustificazione fenomenologia in quella macchina fisica che è l’occhio umano e nel meccanismo della visione, ma anche e soprattutto nella spiritualità e nell’animo dell’osservatore“.

Con analoga ottica, indagando dimensioni intime e profonde, Vasilij Kandinskij (1866-1944) stabilì un nesso strettissimo tra l’opera d’arte e la dimensione spirituale, affermando che queste si influenzano a vicenda.

Nella sua opera filosofica “Lo spirituale nell’arte” (1909) scrisse: “In generale il colore è un mezzo per influenzare direttamente un’anima. Il colore è il tasto. L’occhio è il martelletto. L’anima è un pianoforte con molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima. È chiaro che l’armonia dei colori è fondata solo su un principio: l’efficace contatto con l’anima. Questo fondamento si può definire principio della necessità interiore”. Per Kandinskij il rosso è, ad esempio, un colore caldo e dilagante, che agisce nell’interiorità in modo vitalissimo, vivace, irrequieto. Dimostra un’energia immensa e quasi consapevole. Genera agitazione e fervore introversi. Il rosso è corporeo, richiama il violoncello. Il Rosso caldo chiaro (Saturno) provoca sensazione di forza, energia, determinazione, tensione, gioia, trionfo. Evoca il suono delle fanfare e della tuba. Il Rosso medio (cinabro) ha la stabilità di un sentimento profondo, è come una passione che arde senza scosse, una forza sicura di sé che si può spegnere solo nel blu. Suona come una tuba o un forte rullo di tamburo. Di tutt’alto impatto è il grigio, che definisce “immobilità desolata”. Non è né colorato, né chiaro, né scuro. Il grigio è il nulla di tutto, la sua particolarità è la neutralità più completa”.  Il blu, suggerisce Kandinskij, è l’elemento della quiete e quanto più è profondo tanto più fortemente richiamerà l’uomo verso l’infinito. Sono solo alcune delle suggestioni associate ai colori dall’artista russo, il cui tracciato è stato idealmente ripreso nei primi decenni del Novecento da Max Lüscher, psicoterapeuta, sociologo e filosofo svizzero.

Un percorso in cui il discrimine tra scienza, arte e spirito è assai sottile e ha originato tendenze in continua evoluzione a seconda dei diversi periodi storici. Gusti e sensibilità estetiche sono fattori variabili nel tempo e seguono ispirazioni mutevoli e contingenti. Quello che rimane costante in ogni architettura visuale è la ricerca di una percezione cromatica che possa stimolare sensazioni ed emozioni ben definite. Che nel caso dell’interior design applicato agli spazi di lavoro, assume un valore particolarmente articolato. Quest’ultimo ha il compito di comunicare valori, identità e autorevolezza, esattamente come farebbero un logo e un payoff aziendale; allo stesso tempo deve essere rassicurante e funzionale al benessere psicofisico di chi quotidianamente opera negli ambienti. È convinzione ormai diffusa che un’oculata ed armonica scelta dei colori possa diminuire il disagio lavorativo e ridurre il rischio di infortuni. Di più, è dimostrato che l’utilizzo razionale di certe nuances o abbinamenti di cromie sia da stimolo alla creatività e alla produttività. Appare evidente, quindi, quanto la scelta dei colori concorra alla buona riuscita del progetto di un workspace confortevole e funzionale, al pari di altri importanti fattori come l’assorbimento acustico, i rapporti aeroilluminanti e i materiali da utilizzare.